Dalla tesi di laurea in diritto processuale penale di Giusy Benigno (2024), nipote del cronista Beppe Alfano
OSSIGENO 8 gennaio 2025, a cura di Grazia Pia Attolini – A distanza di trentadue anni dall’uccisione del docente e cronista Beppe Alfano, Giusy Benigno, 27 anni, figlia di Sonia Alfano, ha dedicato la sua tesi di laurea in diritto processuale penale proprio al “caso Alfano”, rileggendo atti giudiziari, sentenze, memorie difensive e verbali inerenti al procedimento penale sull’omicidio del nonno.
Nell’elaborato discusso lo scorso luglio, Giusy Benigno, ripercorre il lungo iter processuale e spiega perché la richiesta di revisione del processo e di annullamento della condanna, fatta da Giuseppe Gullotti, è inammissibile, soffermandosi sulle lacune del disposto normativo che disciplina l’istanza di revisione processuale e che hanno permesso di chiedere, ma non di ottenere, la riapertura del procedimento. In esclusiva, su concessione dell’autrice, Ossigeno pubblica un estratto della tesi.
“Desidero ringraziarvi per l’opportunità che mi avete dato pubblicando nel vostro archivio online, una parte della mia tesi dedicata all’omicidio di mio nonno – dice l’autrice – Oggi, nel giorno del suo 32esimo anniversario, mi commuovo come ogni anno ma quest’anno il mio sentimento ha qualcosa di particolare: ho dedicato a mio nonno e alla sua storia uno dei traguardi più importanti della mia vita, la mia tesi e la mia laurea, e spero di potergliene dedicare altri. Non ho avuto la possibilità di conoscere mio nonno ma sosterrò il concorso in magistratura e se dovessi riuscire a coronare il mio sogno, la storia di mio nonno e della mia famiglia, saranno il mio faro e la mia guida”.
La richiesta di revisione per la presunta sussistenza di una prova nuova
L’istanza di revisione del boss Gullotti aveva ad oggetto la sentenza della Corte di Assise di Appello di Messina del 1998 la quale, riformando la sentenza di primo grado della Corte di Assise di Messina del 1996, riteneva Gullotti responsabile del reato di omicidio aggravato in danno di Alfano e del porto e della detenzione di arma comune da sparo.
La richiesta di revisione è stata presentata nel gennaio 2016 alla Corte di appello di Catanzaro e non a quella di Reggio Calabria, in virtù della circostanza per cui il coimputato di Gullotti era stato già giudicato, per lo stesso fatto, dalla Corte di appello di Reggio Calabria. L’istanza è stata avanzata relativamente a due delle ipotesi previste dall’art. 630 c.p.p. lett. c) e lett. d), ovverosia si fa riferimento all’ipotesi di sopravvenienza o scoperta di prove nuove e all’ipotesi di falsità in atti o di altri fatti previsti dalla legge come reato.
Quanto all’ipotesi prevista dall’art. 630 lett. c) si fa riferimento al fatto che la sentenza di condanna è principalmente fondata sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Bonaceto, nonché testimone oculare del delitto. Tali dichiarazioni sono state oggetto di indagini difensive da parte della difesa dell’esecutore materiale dell’omicidio che ha esaminato persone informate sui fatti, le quali esclusero la possibilità che il collaboratore di giustizia fosse testimone oculare del delitto, posto che affermarono di trovarsi insieme allo stesso presso la sua abitazione. Questa attività investigativa fu ritenuta rilevante ai fini di un eventuale giudizio di revisione.
A tal proposito, la difesa di Gullotti ritenne di porre alla base dell’istanza della richiesta di revisione tale attività investigativa difensiva altrui e farla valere come prova “nuova” ai fini del giudizio di revisione della sentenza di condanna. Bonaceto, ai tempi, ritrattò la sua deposizione per timore a seguito di una mancata protezione da parte delle istituzioni. Questa ritrattazione, posto che non poteva essere utilizzata per una nuova rivalutazione dell’elemento probatorio in quanto era già stata oggetto di valutazione nei giudizi di merito, è stata impiegata per l’istanza in questione facendo riferimento ad un altro procedimento (Mare nostrum), nel quale è stato ascoltato il p.m. che aveva condotto le indagini sull’omicidio Alfano e i Carabinieri verbalizzanti. Questi soggetti esternarono dei dubbi circa la possibilità che il Bonaceto potesse conoscere i fatti da lui resi nel processo Alfano. Infatti «il magistrato dopo avere ammesso di essere l’autore di una missiva anonima nella quale si esprimeva perplessità in ordine alla responsabilità degli imputati per l’omicidio, ribadiva l’opinione che il Bonaceto avesse reso le dichiarazioni sul fatto al solo fine di accreditarsi gli inquirenti 180 ». Le dichiarazioni del pentito trovarono, però, riscontro nelle dichiarazioni di un altro collaboratore: Santino Di Matteo. La difesa pone all’attenzione il fatto che, quest’ultimo aveva dichiarato di essere stato presente ad un incontro tra Gullotti e Brusca in cui si sarebbe organizzato l’omicidio del giornalista. Quando Brusca si pentì dichiarò che Di Matteo aveva letto le dichiarazioni del primo collaboratore e negò tale circostanza, e perciò si ritenne che la smentita di Brusca inficiasse la dichiarazione del Di Matteo e che ciò poteva essere preso in considerazione anche in relazione all’art. 630 lett. d) c.p.p. Nella richiesta di revisione per avvalorare la tesi secondo cui Di Matteo avesse reso dichiarazioni mendaci per incolpare Brusca, si è fatto riferimento al fatto che Di Matteo voleva vendicarsi sull’altro addebitandogli la ragione dell’uccisione del proprio figlio, Giuseppe Di Matteo. Quindi, l’istanza mira a far ritenere false le dichiarazioni poste a fondamento della sentenza di condanna grazie alle prove “nuove” fin qui esposte. Inoltre, nell’istanza di revisione si fa riferimento anche a dichiarazioni rese, non in sede processuale, dai familiari del giornalista ed in particolare dalla figlia Sonia Alfano, ritenendo che «non sia stata detta tutta la verità nel dibattimento allorché vennero escussi quali testimoni ed aver fatto ciò sulla scorta anche dei consigli dello stesso p.m.181». Si fece riferimento al libro scritto da quest’ultima, “La zona d’ombra”, in cui raccontò che poco dopo l’omicidio fu convocata più volte dal p.m. titolare delle indagini per ottenere informazioni e che a seguito di uno di questi incontri le fu rivolta tale affermazione: «io, se fossi nei tuoi panni, dimenticherei tutta questa storia, perché è molto più grande di te182». Sulla scorta di questo scritto, nell’istanza di revisione si è puntato sul fatto che emergerebbe totale sfiducia nell’apparato che svolse le indagini e che sia innegabile un giudizio di ammissibilità della revisione per l’accertamento definitivo della verità e di eventuali responsabilità. Tutti questi elementi, nell’istanza di revisione, vengono ritenuti potenzialmente in grado di dimostrare l’innocenza dell’imputato e meritevoli di essere presi in considerazione ai sensi ed ai fini dell’art. 630 lettera c) e d).
La delibazione di ammissibilità e la regola di giudizio.
La Corte di Appello di Catanzaro presso cui era stata presentata l’istanza di revisione di Gullotti emise un’ordinanza con la quale, ai sensi dell’art. 11 c.p.p., declinando la propria competenza trasmise gli atti alla Corte di appello di Reggio Calabria trattandosi di una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Messina. La Corte nel 2019, fuori dal contraddittorio e sulla fase rescindente (fase di valutazione circa la sussistenza dei presupposti per il giudizio di revisione) ritenne, astrattamente, che in virtù di quanto sostenuto nell’istanza di revisione bisognasse aprire il giudizio di revisione, fermo restando gli approfondimenti istruttori del processo di revisione. Quanto alla delibazione di ammissibilità della richiesta di revisione per la riapertura del giudizio, si prevede una valutazione preliminare circa la sua ammissibilità o meno volta ad evitare iniziative incongrue. In tal senso, «deve condividersi il prevalente orientamento secondo cui la delibazione di ammissibilità, sebbene implichi il potere-dovere di valutare la oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente a dar luogo ad una pronuncia di proscioglimento, deve essere ancorata a elementi riscontrabili ictu oculi183». Ai sensi dell’art. 631 c.p.p., affinché sia superato il vaglio preliminare di ammissibilità, gli elementi posti alla base della richiesta devono essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto. Il giudice che deve decidere sull’ammissibilità dell’istanza di revisione deve valutare l’“astratta” idoneità dei nova di influire sull’impianto probatorio originario. Per quanto concerne la richiesta di revisione basata su una prova “nuova”, il giudice dovrà valutare oltre l’affidabilità della stessa anche la sua persuasività e congruenza nel quadro probatorio già acquisito nel giudizio di cognizione. Il giudizio di revisione deve svolgersi con le regole del giudizio dibattimentale di primo grado in quanto non è un giudizio di mero controllo ma è volto ad un nuovo accertamento del fatto oggetto della condanna; così, dovranno applicarsi le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio tra le parti. L’art. 631 c.p.p. disciplina sia i requisiti di ammissibilità dell’istanza sia la regola per il giudizio finale, infatti se a seguito della valutazione del novum si configura un mero dubbio sulla colpevolezza del condannato si procede ad attivare il rimedio post rem iudicatam e poi a pervenire a una sentenza di proscioglimento «secondo la regola di giudizio dell’‘oltre il ragionevole dubbio184’» Si assiste ad un adeguamento delle regole di giudizio previste per il processo ordinario al processo di revisione. Si tratta di una scelta che ha ad oggetto la Costituzione, la regola di giudizio trova protezione nell’art. 27 comma 2 Cost., allorché sancisce la presunzione di innocenza che non può consumarsi con l’irrevocabilità della sentenza, ma deve riferirsi anche oltre il giudicato. Diversamente, si verificherebbe una situazione inammissibile circa una decisione giurisdizionale posta «al di fuori del quadro di valori tracciato dalla nostra Costituzione e dagli Atti internazionali in tema di diritti umani185». La revisione della sentenza di condanna è ammessa anche se l’esito del giudizio possa condurre al ragionevole dubbio circa la colpevolezza dell’imputato a causa dell’insufficienza, dell’incertezza e della contraddittorietà delle prove d’accusa, infatti l’art. 631 c.p.p. richiama tutte le formule assolutorie indicate nell’art. 530 c.p.p., comprese quelle ispirate al canone di garanzia nel dubbio pro reo. Il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio trova fondamento nell’art. 533 c.p.p., il quale prevede che: “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”. Anche nel giudizio di revisione si applica tale regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, per cui è sufficiente che le prove nuove unitamente a quelle già acquisite generino un dubbio ragionevole da determinare il ribaltamento del giudicato. Dunque, non è necessario addurre delle prove che dimostrino l’innocenza del condannato ma che riescano a far emergere un dubbio ragionevole affinché la richiesta venga accolta e si disponga l’apertura del procedimento.
La sentenza conclusiva del giudizio di revisione.
A seguito dell’ammissibilità della richiesta di revisione avente ad oggetto la sentenza di condanna del boss Gullotti, si è aperto il giudizio di revisione che si è svolto con le modalità previste per il dibattimento di primo grado, ovverosia prevedendo lo svolgimento del contraddittorio tra le parti e l’assunzione delle relative prove richieste sia dalla difesa sia dalle parti civili. Nella pronuncia definitoria del procedimento la Corte di Appello di Reggio Calabria, sulla scia del già ricordato formante giurisprudenziale delle Sezioni Unite, ha ricalcato la ratio delle prove “nuove” nel giudizio di revisione. La Corte, infatti, ha precisato che una consolidata giurisprudenza ritiene che «le prove nuove siano quelle sopravvenute alla sentenza di condanna e quelle successivamente scoperte ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla 98 circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario186 » e «purché idonee, da sole o unitamente a quelle già acquisite, a ribaltare il giudizio di colpevolezza187». Inoltre, la sentenza ha affermato che la comparazione fra le prove nuove e quelle sulle quali si fonda la condanna irrevocabile deve avvenire sulla base di una globale riconsiderazione della piattaforma probatoria. Ora, per comprendere il ragionamento finale adottato dal giudice della revisione, è necessario rammentare che nella fattispecie concreta del giudizio di cognizione le dichiarazioni rese de Maurizio Bonaceto, dopo un’attenta disamina, erano state ritenute attendibili e pienamente riscontrate. Quest’ultimo, nella fase cognitiva, aveva affermato di essere stato testimone oculare della fase esecutiva e, quanto al movente e al mandante dell’omicidio, aveva sostenuto di aver appreso da altro boss che la malavita barcellonese aveva, su decisione del capo Gullotti, stabilito di uccidere il giornalista. Anche altri collaboratori avevano riferito di questa decisione che, tra l’altro, aveva destato preoccupazioni e divisioni all’interno della malavita barcellonese. Inoltre, la specifica responsabilità del Gullotti nell’organizzazione dell’omicidio era stata confermata dalle dichiarazioni dei collaboratori Galati Giordano Orlando, Di Matteo Mario Santo e Avola Maurizio. Queste numerose fonti avevano confermato la versione accusatoria del Bonaceto, conducendo il giudice della cognizione a formulare un giudizio di penale responsabilità del Gullotti. Alla luce di ciò, la Corte di appello ha ritenuto l’avvenuta ritrattazione delle dichiarazioni del Bonaceto priva di credibilità e conseguenza della revoca del programma di protezione nei confronti del propalante ed ha, altresì, ritenuto «le nuove prove proposte dalla difesa del condannato valutate unitamente agli elementi acquisiti nel giudizio definito dalla sentenza irrevocabile, (…) inidonee ad inficiare, scardinandolo, l’impianto accusatorio posto a fondamento dell’accertamento di colpevolezza di Gullotti188». Nel dettaglio l’unica novità emersa è stata rappresentata dalle dichiarazioni di Brusca che dinanzi alla corte ha smentito le dichiarazioni rese dal Di Matteo, secondo cui, nel corso di una riunione tenutasi a Palermo, con la partecipazione di Brusca, il Gullotti aveva manifestato il suo progetto di uccidere il giornalista. Però, lo stesso Brusca ha anche affermato che, laddove il Gullotti avesse avuto l’intenzione di programmare un omicidio, non sarebbe stato tenuto a comunicarlo agli esponenti di Cosa Nostra palermitana. Tale contrasto tra le dichiarazioni del Di Matteo e del Brusca ha indotto la Corte, considerando il principio del ragionevole dubbio, di rimuovere le dichiarazioni del primo dal complessivo quadro probatorio posto alla base della sentenza di condanna. Eliminazione che, però, non ha inciso sull’esito del giudizio di revisione. Infatti, si afferma nella sentenza che, «nonostante tale conclusione, ispirata al canone di garanzia in dubbio pro reo, va, tuttavia, sottolineato che il Brusca ha comunque riferito che il Gulloti era comunque in grado di potere agire in piena autonomia nella realizzazione di delitti nel proprio territorio, senza necessità di richiedere l’autorizzazione o di informare i capi mandamento della provincia di Palermo. Tale dato, che ben si giustifica alla luce del ruolo di capo mafia di Barcellona assunto dal Gullotti, non esclude la possibilità che lo stesso abbia potuto commissionare l’omicidio, all’insaputa del Brusca, senza necessariamente informarlo, in quanto si trattava di un delitto rientrante nel territorio di propria competenza189». Ne consegue che, secondo i giudici calabresi, le nuove prove analizzate non appaiono «né rilevanti, né dirimenti ai fini della revisione della sentenza di condanna, formulata ai sensi dell’art. 630 lettera c) c.p.p., non potendo in alcun modo portare alla disarticolazione del ragionamento seguito dai giudici di merito, né alcun contributo proviene dagli ulteriori atti allegati all’istanza drevisione, del tutto irrilevanti e superflui (come la copia del libro e i memoriali del p.m. procedente per le indagini dell’omicidio). Né vi sono i presupposti per l’accoglimento della richiesta di revisione, proposta ai sensi dell’art. 630 lettera d) c.p.p., in assenza di qualsiasi dimostrazione che la condanna sia stata pronunziata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio190». Nonostante un’inziale ammissibilità della suddetta richiesta di revisione fondata sulla motivazione che gli elementi posti alla base fossero astrattamente idonei, se accertati, a ribaltare il giudicato e a pervenire ad una sentenza di proscioglimento, a seguito dello svolgimento del contraddittorio tra le parti e del dibattimento, la Corte, analizzando le prove nuove fornite dal richiedente, è arrivata alla conclusione che queste fossero inidonee a stravolgere il quadro pr
obatorio originario su cui si fonda la sentenza di condanna.
Indice della tesi
CAPITOLO PRIMO
Il giudizio di revisione
1. Le impugnazioni straordinarie: profili generali
2 La revisione: genesi
2.1 Dimensione costituzionale e internazionale
2.2 L’istituto e le sue finalità
3 I singoli casi di revisione:
3.1 a) il conflitto di giudicati
3. 2 b) la revoca della sentenza pregiudiziale
3.3 c) la prova nuova
3.4 d) la falsità in atti o altro reato
4 Gli ulteriori presupposti per l’applicabilità dell’istituto
4.1 Il divieto generale di revisione in peius e le sue eccezioni
5 Il procedimento
CAPITOLO SECONDO
La prova nuova nel giudizio di revisione
1.Il concetto di “prova nuova”
2. L’evoluzione giurisprudenziale
2.1 La prova acquisita ma non valutata
2.2 La prova nuova nei riti speciali
3 Varie tipologie di “prova nuova”
3.1 La prova nuova testimoniale
3.2 La prova nuova scientifica
3.3 L’errore sull’identità anagrafica
CAPITOLO TERZO
Il procedimento di revisione nel “caso Alfano”
1. Il caso Beppe Alfano
1.2 La sentenza di condanna del mandante: le motivazioni della decisione
2. La richiesta di revisione per la presunta sussistenza di una prova nuova
2.1 La delibazione di ammissibilità e la regola di giudizio
3. La sentenza conclusiva del giudizio di revisione