L’inviata RAI si salvò dall’attentato in cui rimase vittima la giornalista del Corriere perché sua figlia le chiese di tornare in Italia. Racconta a Ossigeno come lavorava e chi era 

OSSIGENO 19 novembre 2024 – Maria Grazia Cutuli, 39 anni, uccisa il 19 novembre 2001 in Afghanistan, era una giornalista coraggiosa. “Era gli occhi e il cuore” dei lettori che volevano capire i conflitti, la povertà, le tragedie; faceva del giornalismo uno strumento per la storia, imparziale e autentica.

A descrivere così la giornalista trucidata con raffiche di kalashnikov durante un agguato sulla strada per Kabul, è Giovanna Botteri, inviata di guerra e storica corrispondente Rai da New York, Pechino e Parigi, oggi in pensione. Ventitré anni fa anche lei era in Afghanistan, ma la telefonata di sua figlia la salvò da quell’attentato.

A Ossigeno-Cercavano la verità racconta: “Maria Grazia era a Peshawar, io a Islamabad, più a sud, ci siamo sentite per trovare un convoglio con cui partire e attraversare il confine. C’erano due colleghi della Reuters che avevano già l’auto e le guide locali, Julio Fuentes del Mundo pensava fosse una buona soluzione. Ma al momento della partenza mia figlia disse che non ce la faceva più, dopo due mesi le mancavo troppo. Così sono tornata, mentre  il convoglio con Maria Grazia, Julio, Harry Burton, il cameraman australiano, e Hazizula Haidari, il fotografo afghano, partiva verso Kabul”.

Giovanna e Maria Grazia si erano conosciute alla fine degli anni Novanta. L’occasione fu offerta da una intervista. “Maria Grazia – racconta – stava preparando un lungo reportage sulle (poche allora) corrispondenti di guerra. Aveva intervistato i nomi storici della BBC e della CNN, e voleva sentire un’italiana, così aveva pensato a me. Ci siamo parlate, confrontate sul lavoro, sulle difficoltà, le delusioni e i sogni”.

La giovane giornalista di origini siciliane, che aveva cominciato sulle pagine de La Sicilia, “era un’entusiasta, adorava l’idea di poter raccontare il mondo e i grandi eventi geopolitici attraverso le piccole storie di chi subisce, le guerre e la povertà, dei popoli ridotti a pedine sacrificali sullo scacchiere internazionali. per questo era partita con le Nazioni Unite, per questo faceva la gavetta in redazione, aspettando, come tutti gli inviati di esteri, la grande occasione”.

Il momento atteso si presentò nel 2001, a seguito degli attentati del 9 settembre, della guerra preventiva lanciata dagli Stati Uniti, della caccia a Bin Laden nascosto e protetto dai Talebani, “bisognava partire subito per il Pakistan, e là aspettare il momento giusto per riuscire ad entrare in Afghanistan”, prosegue nel suo racconto Giovanna Botteri. Da quei luoghi purtroppo Maria Grazia non fece ritorno. Il 19 novembre 2001, mentre il suo ultimo scoop – il ritrovamento di un deposito di gas nervino in una base Taliban abbandonata – veniva pubblicato in prima pagina dal Corriere della Sera, l’auto sulla quale viaggiava con i tre colleghi fu bloccata da un gruppo di uomini armati che prima costrinsero i reporter a scendere poi li uccisero. I quattro corpi furono recuperati il giorno successivo.

Dei trenta giornalisti italiani uccisi dal 1960 ad oggi, Maria Grazia Cutuli è tra i dodici che hanno ottenuto giustizia. Nel 2004 le autorità afghane hanno individuato tre colpevoli, processati e condannati. Uno di loro, in particolare, è stato condannato alla pena capitale, malgrado la famiglia della giornalista si fosse dichiarata contraria a tale punizione estrema. Il processo cominciato in Italia nel 2015 ha condannato gli altri due imputati afgani, sentenza confermata in appello nel 2018.

Oggi Maria Grazia è un esempio. Il suo modo di leggere la realtà e di riportarla ai lettori resta un punto di riferimento per le nuove generazioni di giornalisti. “ Maria Grazia – sottolinea Giovanna Botteri – appartiene a quella generazione di reporter abituata a lavorare con passione, onestà intellettuale, competenza e coraggio con l’unico obiettivo di raccontare  quello che succede, essere gli occhi e il cuore di non è là con te per vedere e capire, senza esibizionismi, senza smanie narcisiste di protagonismo, senza partigianerie ideologiche, vero, autentico,  testimone della storia”.

 

Commenta