(Testo di Vincenzo Arena – 3 maggio 2020)
Beppe Alfano squarcia la coltre di ipocrisia sulla presenza delle mafie a Barcellona Pozzo di Gotto e in provincia di Messina: per tutti, negli anni ’70 e ’80 queste sono zone “babbe”, immuni dalle penetrazioni malavitose. Sonia Alfano, a riguardo, scrive nel suo libro “La zona d’ombra”:
“Perché la mafia a Barcellona non c’era, no? Era una zona tranquilla, dove non succedeva nulla, come nel resto del messinese: la provincia babba, l’unico angolo della regione in cui la gente era così tonta da non riuscire nemmeno ad essere malavitosa. (…) [Mio padre] sapeva anche che tutti fingevano, che restavano in silenzio e si rendevano complici. Ma era convinto di non essere il solo a volere che fosse fatta luce, sebbene nessuna voce si levasse in quel deserto. Forse, pensava occorreva che qualcuno facesse il primo passo. Fu così che decise di cominciare a parlare”.
Alfano, con le sue inchieste giornalistiche, disegna l’organigramma delle cosche di Barcellona e del messinese: attività che sarà utilissima agli inquirenti nel contrasto alle cosche emergenti degli anni ’90.
La sua attività giornalistica si rivolge soprattutto agli uomini d’affari, mafiosi latitanti, politici e amministratori locali e massoneria. Le sue inchieste pubblicate sul quotidiano La Sicilia rivelano intrecci tra mafia, imprenditoria e politica.
Arriva molto vicino a scoprire la rete di protezione del boss catanese latitante Nitto Santapaola, che si sarebbe nascosto nelle vicinanze di Barcellona Pozzo di Gotto. Fa luce su traffici d’armi e di stupefacenti della mafia con Paesi del Sud America, scrive di alcune truffe ai danni della Comunità Europea nel campo della coltivazione degli agrumi e dell’allevamento dei bovini, indaga il radicamento delle logge massoniche nel messinese e a Barcellona.
Un’altra inchiesta condotta da Beppe Alfano, fino a poco prima del suo omicidio, riguarda lo scandalo dell’AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici), una struttura privata di assistenza ai disabili che ottiene corposi finanziamenti dalla Regione, i cui dirigenti hanno legami importanti con rappresentati politici locali e regionali dell’epoca. Come riportato da Luciano Mirone nel suo libro inchiesta “Insabbiati” – e come emerso durante il primo dibattimento sull’omicidio Alfano – sembra che il giornalista avesse fatto luce sulla malagestione dell’AIAS da parte dei suoi dirigenti, dediti a facili assunzioni per tornaconto personale, imbrogli connessi al numero di malati non corrispondenti ai ricoverati effettivi.