Gabriel Gruener, 35 anni, giornalista italiano di lingua tedesca, originario di Malles (Bolzano), aveva studiato all’Università di Insbruck (Austria) prima di iniziare a lavorare, dal 1991, per il settimanale tedesco Stern, dove si era affermato come inviato speciale di guerra. Esperto dei Balcani, Gabriel aveva coperto Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, ma anche altri punti caldi, anzi bollenti del mondo: Somalia, Afghanistan, Algeria, Sudan. Era un giovane di grande coraggio e professionalità. Il 13 giugno 1999, Gruener e il collega tedesco Volker Kraemer, 56 anni fotografo, anch’egli di Stern, si trovavano a un check point al Passo di Dulje, nel Kosovo Occidentale, quando furono colpiti da colpi di arma da fuoco esplosi da un cecchino, uno dei tanti che infestavano quella martoriata regione. Kraemer morì all’istante, Gruener invece morì in un ospedale della Macedonia dove era stato trasportato in condizioni apparse disperate fin dal primo momento.
(da Giornata della Memoria dei giornalisti uccisi da mafia e terrorismo, Roma, 2008)
(Aggiornamento di Raffaella Della Morte e Marta Ramadori, 3 maggio 2020)
- A giugno del 1999 la guerra in Kosovo era cessata da tre giorni, quando Gabriel Gruener e il suo collega Volker Kramer furono uccisi. Era stata dichiarata la fine delle ostilità ma le tensioni persistevano in tutto il territorio. Gruener e a Kramer furono accusati di imprudenza. I loro colleghi di Stern, la testata per la quale lavoravano e che aveva già perso due giornalisti (nel 1995 Jochen Piest ucciso da un cecchino a Grozny, in Cecenia, e nel 2001 Volker Handloik, ucciso in un agguato in Afghanistan) respinsero quelle accuse, dissero che da veri professionisti non si erano mai esposti inutilmente. Gli accertamenti stabilirono che la loro morte fu dovuta a pura fatalità.