Il ricordo del giornalista Mauro Montali su l’Unità il giorno dopo l’uccisione
OSSIGENO 8 febbraio 2023 – All’indomani dell’uccisione del giornalista e cineoperatore del TG2 Marcello Palmisano (leggi la storia), l’Unità riservò una serie di articoli alla ricostruzione dei fatti e al ricordo del giornalista salentino vittima di un agguato a Mogadiscio, la stessa città dove un’anno prima erano stati uccisi Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, inviati dal TG3.
Sull’archivio storico digitale è possibile rileggere quelle pagine a distanza di ventinove anni. Tra queste, spicca il ricordo che il giornalista Mauro Montali tracciò del suo collega firmando l’articolo intitolato “Era il maggio 1989. Fuggimmo insieme da Beirut” (l’Unità, 10 febbraio 1995, p. 4). Mauro Montali rievoca una trasferta in Libano, dove si conobbero, nel maggio 1989, riuscendo a tornare in Italia superando i collegamenti più rischiosi su un piccolo aereo ad elica; dice che Marcello Palmisano amava la famiglia e il suo lavoro; era un pugliese dall’ “allegria sana e dirompente” che ogni volta si trasformava in felicità “l’attimo dopo aver parlalo con i suoi due bambini” che lo attendevano a Roma (Adelaide e Davide, ndr).
Ossigeno per l’informazione, in occasione del ventinovesimo anniversario dall’uccisione del cineoperatore del Tg2, ripubblica questo articolo, in trascrizione, su Cercavano la verità www.giornalistiuccisi.it, arricchendo così la documentazione sulla storia umana e professionale di Marcello Palmisano.
Davide Palmisano, figlio maggiore del giornalista, commenta così questa pubblicazione: “Ricordo che mio padre mi raccontò di quelle granate che nel maggio 1989 piovvero sull’albergo dove a Beirut lui e i suoi colleghi alloggiavano, come riporta l’articolo di Monatli. Ringrazio Ossigeno per averlo riportato all’attenzione dei lettori”. In particolare – racconta Davide – “ricordo che mio padre mi descrisse lo slancio che il suo collega Franco Ferrari, con il quale aveva condiviso già altre missioni, ebbe in quel momento: voleva uscire dall’albergo per documentare quanto stesse accadendo, ma poi mio padre lo fece desidere perché troppo pericoloso”. Nel rileggere questo articolo, dice ancora il figlio del giornalista, “ho riflettuto sull’importanza del lavoro che svolgevano, e svolgono tutt’ora, operatori e giornalisti sui terreni di guerra più remoti, mettendo a rischio la propria vita per raccontare con grande professionalità le sofferenze e le tragedie dei popoli, per onorare il diritto-dovere di informare noi cittadini”.
Di seguito l’articolo in trascrizione e l’originale
(ricerca e trascrizione a cura di Grazia Pia Attolini)