Trascrizione della corrispondenza del 28 marzo 1999 da Pristina per Radio Radicale
di Grazia Pia Attolini – “Ho potuto vedere oggi (a Pristina, ndr), girando per la città, nonostante i pericoli che ci sono, che venivano identificate sia le attività commerciali sia le case albanesi. Sono rimasto estremamente scioccato. Per esempio una attività commerciale serba, qui a Pristina, è stata risparmiata, invece tutte le restanti, quelle appunto albanesi, sono state esattamente identificate, saccheggiate e distrutte”.
Questo raccontava alla radio Antonio Russo, il 28 marzo 1999 dal Kosovo, dov’era inviato da Radio Radicale. Cronista curioso, appassionato dalle grandi crisi che colpivano le popolazioni dei Balcani e dell’Est Europa, dal 1995 andava a vederle da vicino, condivideva i drammi personali e politici di quei paesi e, con le sue corrispondenze, aiutava a vedere i chiaroscuri e le contraddizioni di quelle guerre. La guerra in Kosovo era cominciata nel febbraio del 1995 con le gravi intolleranze tra la comunità serba e albanese verso la popolazione di quella regione storica intorno a Pristina.
Nei giorni in cui fa la corrispondenza qui riproposta, Antonio Russo è l’unico cronista italiano rimasto in quella regione dopo che, il 24 marzo 1999, hanno avuto inizio i bombardamenti della Nato contro la Serbia guidata da Milosevic. Il governo di Belgrado aveva caldeggiato il ritiro di tutte le componenti internazionali, e i giornalisti stranieri se n’erano andati. Antonio Russo no, aveva deciso di non lasciare il Kosovo perché reputava uno scandalo che la stampa internazionale abbandonasse un Paese che veniva massacrato, invaso militarmente, privato dei suoi diritti senza che nessuno potesse testimoniare ciò che accadeva. Lo disse durante la Seconda Sessione dell’Assemblea dei Mille per la Rivoluzione Liberale e gli Stati Uniti d’Europa, a Monastier di Treviso, subito dopo il suo rientro in Italia (vedi).
Nel 2020, vent’anni dopo la morte di Antonio Russo (fu ucciso il 16 ottobre 2000 mentre si trovava in Georgia), le sue corrispondenze sono state raccolte in forma digitale nell’archivio di Radio Radicale e da allora sono accessibili a tutti.
In questo ventunesimo anniversario della morte di Antonio Russo, Ossigeno per l’informazione deciso di riproporre la figura di Antonio Russo pubblicando la trascrizione integrale di una di quelle corrispondenze, scelta fra quelle più rappresentativa dell’attività e della personalità del “radicale-giornalista”, la definizione con cui lo ricorda Alessio Falconio, direttore di Radio Radicale (leggi la sua dichiarazione a Ossigeno).
Quel 28 marzo 1999 Russo parla da Pristina, in collegamento con il giornalista Artur Zheji che si trova nella redazione di Radio Radicale a Roma, per la trasmissione notturna Filodiretto. Parlano della situazione dei civili kosovari perseguitati. E’ la vigilia di un nuovo attacco Nato. La pulizia etnica condotta da militari serbi contro gli albanesi kosovari è in pieno svolgimento.
Anche i civili serbi imbracciano le armi, in un atteggiamento che Russo definisce preoccupante: “Due giorni fa (ho visto) una donna di quaranta-quarantadue anni con un kalashnikov e due sacchetti militari, di quelli verdi carichi di munizioni, che andava verso le zone alte collinari di Velania (…) una immagine da fotografare, ma purtroppo non si poteva riprendere (…): ci siamo guardati in viso e la sua espressione era rabbiosa, di rivendicazione, di revenge”.
L’audio di Antonio Russo giunge a tratti disturbato, ma ciò non gli impedisce di descrivere che cosa vede. Sono ore determinanti. “Questo intervento della Nato ha certo creato cambiamenti, ma è fondamentale che ci sia un presenza delle truppe sul terreno altrimenti qui non si può prevedere quello che succederà”.
Molte delle corrispondenze quotidiane di Russo dalle aree più critiche dell’est Europa, dal 1995 al 2000, hanno rotto il silenzio assordante che gravava sui fatti di guerra di quegli anni, come la Guerra dei Grandi Laghi e gli scontri nel Caucaso. Antonio Russo faceva il suo lavoro con rigore, con una attenta verifica delle informazioni, privilegiando la ricerca della verità sul campo alla lettura dei comunicati stampa diffusi dai contendenti. Per questo è interessante ancora oggi riascoltare e rileggere le sue cronache: una lezione per chi vuole fare informazione nel rispetto della verità, pagine di storia vissuta utili a tutti i cittadini. GPA
CORRISPONDENZA DEL 28 MARZO 1999
https://www.radioradicale.it/
Trascrizione integrale a cura di Grazia Pia Attolini
Zheji – Buona sera Antonio pesato la grande fortuna che gli abbiamo chiamato che stai bene che speriamo che vai avanti questo lavoro con questo successo che ha avuto fino adesso che torni bene senti notizie clamorose provengono in queste ore dal Kosovo su c’è un’ accelerazione di una campagna di sterminio della popolazione albanese del Kosovo letture notizie cosa raccontano su questo su queste notizie che purtroppo rimangono non del tutto e conferma
RUSSO – Purtroppo non posso darti conferme definitive. So che ci sono azioni in atto, c’è anche la paura qui a Pistina che succeda lo stesso. Ho cercato di fare un giro di telefonate con amici locali per avere ulteriori conferme, ma al momento non ti posso confermare più di tanto. Sono notizie che girano di cui non posso io assumermi la responsabilità.
Zheji – Nel precedente collegamento denunciavi questo fatto molto grave: paramilitari o polizia speciale segnavano le case dei non albanesi o di albanesi per le rappresaglie notturne.
RUSSO – Certo, questo lo posso garantire; ho anche io potuto vedere oggi girando per la città, con ovviamente i pericoli che ci sono, esattamente il fatto che venivano identificate sia le attività commerciali sia le case albanesi, cosa che mi ha estremamente scioccato. Per esempio una attività commerciale serba qui a Pristina è stata risparmiata, mentre tutte le restanti quelle appunto albanesi – da questo punto di vista si può pensare che abbiano una lista o un registro – sono state esattamente identificate, saccheggiate e distrutte. Questo fa capire come lavorano, il tipo di atmosfera che poi gira qui in zona.
Zheji – Ricorda moltissimo quell’ operato di SS contro i negozi, contro le case degli ebrei prima dalla seconda guerra mondiale, anche durante
RUSSO – Per certi versi sì, perché tra di noi, tra i ragazzi, le persone qui a Pristina si parla di una sorta di (incomprensibile) com’è chiamata storicamente, in cui c’è stata una esatta identificazione dell’etnia e il tentativo di distruzione, l’inizio della distruzione completa da parte di (incomprensibile) Quindi sì, ha delle rassomiglianze estremamente forti e significative.
Zheji – Senti Antonio, nei collegamenti che abbiamo fatto precedentemente quando tu comunque potevi girare, più volte hai denunciato il fatto che queste città sono completamente circondate o sotto il controllo dei blindati dei carri armati e delle forze della polizia speciale e anche dell’ esercito. E mi ricordo benissimo che dicevi: quelli sono proprio pronti a lanciare il cosiddetto attacco finale per sterminare questa gente. Dalle informazioni sembra che questa ora “x” dell’ attacco, proprio per creare una zona una larga zona libera dagli albanesi, è già cominciata, il grande luogo dei profughi lo dimostra ma anche le testimonianze lo dimostrano altrettanto. Ecco, tu nelle telefonate che fai percepisci questo panico, quest’ ansia?
RUSSO – Sì, si sente. C’è la paura, c’è il terrore. Sicuramente c’è questo fatto di cercare di scappare. Il problema è che il blindamento che è stato fatto a Pristina e a Praslin, non permettono a questi profughi di potersi muovere più di tanto, se non nelle montagne circostanti, questo mettendo a serio rischio la loro esistenza perché non hanno la possibilità di potersi muovere o alla frontiera albanese o in quella macedone, non parliamo poi di quella bosnia-eregovina, sono state tutte quante bloccate e chiuse. Vi è una sorta di gabbia, come in uno zoo in cui il massacratore è colui che domina la situazione, parliamo della (incomprensibile), della presenza paramilitari, della presenza anche dei civili che stanno sicuramente facendo piazza pulita da questo punto di vista.
Zheji – Ecco, secondo le denunce fatte anche da altri testimoni in questo caso kosovari, l’esercito serbo, la polizia serba ha distribuito molto armamento tra i civili serbi con il pretesto di difendersi, ma tu denunci che proprio queste bande, anche i paramilitari, stanno facendo il peggio…
RUSSO – Certo, lo denuncio e ho anche avuto modo di vedere un atteggiamento da parte dei civili che mi ha preoccupato. Due giorni fa c’era questa donna con un kalashnikov e con due sacchetti militari, di quelli verdi carichi di munizioni, che andava verso le zone alte collinari di Velania, non so con quale criterio, non so con quale tipo di stress psicologico, certo è che lei era una immagine da foto, che purtroppo non si poteva riprendere, estremamente convinta di avere il suo kalashnikov: ci siamo guardati in viso e la sua espressione era rabbiosa, di rivendicazione, di revenge. Ti lascio immaginare quale sia il significato di una donna di circa quaranta-quarantadue anni.
Zheji – Senti Antonio, non ti voglio intrattenere di più, però c’è stata una domanda fatta dagli ascoltatori e voglio che rispondi tu: loro chiedono cosa fa l’UCK, dove sta, perché non reagisce, o come reagisce?
RUSSO – Il problema è che l’UCK (nome albanese dell’Esercito di liberazione del Kosovo, ndr), è ancora presente, sta cercando di fare una resistenza. Il secondo livello di intervento della Nato che dovrebbe colpire sia le caserme sia le varie postazioni militari dovrebbe dare un respiro all’UCK. Sono presenti, almeno per quello che fino ad adesso ho potuto avere come contatti, nell’area di(incomprensibile),, di (incomprensibile), e anche nell’area di (incomprensibile). Il grosso problema è che probabilmente si sono chiusi in una detezione tale che non permette di poter proteggere i civili. Quindi quelli che si trovano come civili nei vari villaggi, nelle varie città ovviamente si trovano scoperti da un posizione dell’UCK. Vediamo adesso con questo intervento della Nato. Qui c’è oscuramento che è iniziato anche prima del tempo, già alle cinque e mezza di pomeriggio e siamo tutt’ora in oscuramento, questo vale ovviamente per tutto il Kosovo. Da qui non si hanno sentori di bombardamenti della Nato, però ovviamente le distante sono quello che sono. Vedremo domani poi quali saranno gli effetti se veramente se c’è stato questo intervento e se da parte degli armamenti degli UCK, di cui ho anche conoscenze personali, di amici che sono andati nell’UCK per difendere il territorio, vedremo quali saranno le notizie.
Zheji – Dunque sinteticamente possiamo dire che loro non sono in grado di proteggere un numero sempre più grande di profughi e per di più dispersi su tutto il territorio
RUSSO – Assolutamente non hanno questa possibilità, perché hanno problemi per quanto riguarda gli approvvigionamenti, anche per la possibilità in termini militari di approvvigionarsi delle armi, delle pallottole e via dicendo.
Zheji – Hai toccato un tasto molto delicato, perché secondo la Consulta Junior l’armamento dell’UCK viene fornito sistematicamente dagli Stati Uniti d’America, questa è una voce buttata così ma che prende sempre più quota, è stata memorizzata tra la gente e gli ascoltatori chiedono proprio di questo.
RUSSO – Certo, l’armamento è uno dei grossi problemi. Sembra che – come poc’anzi dicevi tu – l’armamento provenga comunque da finanziamenti americani e via dicendo. Il grosso del problema è che al momento sono anch’essi blindati, bloccati e quindi non si sa qual è esattamente la capacità di resistenza e anche di sopravvivenza da parte loro soprattutto per l’uso delle munizioni, perché è un armamento non estremamente sofisticato che però può essere efficace in termini di resistenza. Il problema è avere un rifornimento per quanto riguarda le munizioni. Io ho visto ovviamente mitragliatrici del calibro 12.7 che sono abbastanza efficaci ovviamente non contro i carrarmati ma contro gli Apeje hanno una loro funzionalità. Contro gli M84 e i T59 non hanno possibilità di chance. C’è l’Apeje che può avere una possibilità ma bisogna vere degli esperti perché ha un lancio estremamente limitato, non più di duecento metri, quindi bisogna identificare bene gli obiettivi e conoscere i carrarmati per poterli colpire in maniera seria ed efficace.
Zheji – Bene, con questa tua spiegazione anche tecnica abbiamo dato una risposta al nostro ascoltatore e se non hai altro da aggiungere, un messaggio da lanciare possiamo anche chiudere qui il nostro collegamento, magari ci sentiamo tra qualche ora.
RUSSO – Io l’unica cosa che voglio dire è che questo intervento della Nato ha certo creato cambiamenti ed equilibri, ma è fondamentale che ci sia un presenza delle truppe sul terreno altrimenti qui non si può prevedere quello che succederà.
Zheji – Certo, però comunque ti comunico che adesso c’è la fase due dell’ attacco NATO concentrato sui aerei più specializzati in attacchi al suolo di A10 contro i carri armati e forse il massimo concentramento del fuoco dei raider aerei adesso in questo periodo sarà più sul Kosovo con l’ obiettivo di indebolire l’ esercito serbo che adesso tiene in pugno l’ intera regione, vedremo quale sarà l’ esito di questa operazione.
RUSSO – Sì, so di questa operazione, so che la missione è esattamente indicata su questi obiettivi però il problema è che sono obiettivi pericolosi e non semplici, e ricordo che comunque qui in Kosovo ci sono circa più di quarantamila uomini sul terreno e questo solo per dare una idea di quella che è la situazione qui sul terreno.